Maurizio Vallone: “Fondamentale per contrastare parte dell’intellighenzia nazionale che vuole picconare la legislazione antimafia italiana”

“Abbiamo fatto 30, facciamo futuro”. È il titolo dell’evento online organizzato mercoledì 9 febbraio da “NED New European Dream” e dalla “Fondazione Antonino Caponnetto”. Un convegno online con illustri ospiti per festeggiare trentennale della Dia – Direzione Investigativa Antimafia – partendo da una domanda: che cos’è la legalità?

Una parola che può avere molte definizioni – si legge nel comunicato stampa dell’evento – ma che, soprattutto, è la base indispensabile per costruire la nostra vita. Senza legalità non c’è futuro e non c’è dignità. Come ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso per il giuramento del 3 febbraio: ‘Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità, dalla complicità di chi fa finta di non vedere’”.

Un evento che, in due ore, ha ripercorso 30 anni di storia di un’istituzione frutto della genialità e della lungimiranza di Giovanni Falcone, e ha parlato anche di futuro del Paese in tema di contrasto alle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Il tutto coadiuvato da ospiti d’onore tra cui il direttore della Dia, Maurizio ValloneGiuseppe Antoci, presidente onorario della “Fondazione Antonino Caponnetto”; Franco Roberti, europarlamentare per i Socialisti e i Democratici; Giancarlo Caselli, presidente onorario di Libera il quale ha detto che la Dia “è stata partorita con il sacrificio di Falcone: un’istituzione che porta il suo nome”.

Giuseppe Antoci: “L’esercizio di fare il proprio dovere sia il miglior modo di combattere tutte le mafie”
Si dice colpito e sorpreso Giuseppe Antoci “dalla passione che si intravede negli occhi degli uomini e delle donne della Dia, che sono un pezzo di storia di questo Paese. E alla storia va data verità e valore”. “Noi stiamo festeggiando il 30ennale della Dia, ma se dovessimo pensare ad un regalo da fargli questo sarebbe impedire di far picconare le norme antimafia – dice –. Non possiamo abbandonare il doppio binario normativo. Dobbiamo far capire all’Europa che qui in Italia esiste il vincolo associativo che è l’unicità dei sistemi criminali del nostro Paese. E dal vincolo associativo con la mafia, si esce o collaborando con la giustizia o con la morte. Non c’è soluzione alternativaOltre alla rieducazione del carcere, sulla quale siamo tutti d’accordo, è necessaria un’unità di scelta da parte di colui o colei che vuole avere dei benefici dal nostro Stato”. “Il nostro Paese – ha continuato – ha la miglior normativa antimafia d’Europa e del mondo. Ma il miglior testo antimafia di questo Paese resta la Costituzione. Penso, dunque, che l’esercizio di fare il proprio dovere sia il miglior modo di combattere tutte le mafie”.

E ancora: “Noi dobbiamo tutelare quelle norme per le quali è stato versato del sangue per le strade. Dobbiamo essere pronti a dire che bisogna attivare una normativa che ci viene imposta ma che tuteli le vicende del doppio binario e tutte le vicende ad esso collegate”, dice il presidente della “Fondazione Antonino Caponnetto” riferendosi alle richieste di adeguamento normativo avanzate dall’UE in riferimento alla legislazione antimafia italiana. “Credo che questo sia il più bel regalo che il Paese possa fare a questi uomini e a queste donne delle forze dell’ordine, della Dia e ai magistrati che danno veramente tanto al nostro Paese – ha detto in conclusione –. Io penso che gli aggiustamenti si possano e si debbano fare, ma vanno fatti in modo tale da poter dare ancora dignità a coloro che negli anni hanno fatto il loro dovere a costo della vita”.

È stata poi la volta dell’europarlamentare per i Socialisti e i Democratici Franco Roberti che ha subito rivolto l’attenzione verso l’internazionalità delle mafie, il pericolo che esse rappresentano per il mondo e di come manchino normative europee e internazionali in grado di contrastare in maniera efficiente le mafie. “In molti Paesi le direttive antiriciclaggio, ad esempio, non sono state recepite o sono state recepite male – ha detto Roberti –. Uno dei grandi fattori che hanno favorito massivamente la transnazionalizzazione delle criminalità organizzate è stato il cattivo recepimento delle direttive europee. Le asimmetrie regolative hanno consentito ai patrimoni mafiosi di essere collocati laddove erano meno applicate le normative europee antiriciclaggio”. Roberti ha poi confessato anche di essere orgoglioso quando ripensa alla normativa antimafia italiana, ma allo stesso tempo amareggiato “nel vedere che in Italia le cose non vanno come dovrebbero andare”. Il suo auspicio, dunque, “è quello che ci possa essere una inversione di rotta e di tendenza, che non si pensi soltanto a smantellare quelli che sono stati i capisaldi dello strumento dell’antimafia (l’ergastolo ostativo ma anche il 41bis), perché temo che, dopo che il Parlamento avrà deciso sull’indicazione della corte costituzionale sullo smantellamento dell’ergastolo ostativo, si passerà anche al 41bis. Strumento formidabile così come le confische dei beni. I mafiosi temono l’ergastolo ostativo, il 41bis e il sequestro dei beni. Se indeboliamo questi tre strumenti, indeboliamo la lotta alle mafie. E se arrivassimo a questa deriva sarebbe un pessimo servizio alla memoria di Falcone e Borsellino in occasione del trentennale dalle stragi”.

Il pericolo di minare alcuni istituti fondamentali del contrasto alle mafie
Sempre sul punto si è voluto esprimere anche il direttore della Dia Vallone, affermando che in Italia “c’è il pericolo di andare in controtendenza rispetto ad un passato” e che “si vedono minare alcuni degli istituti fondamentali del contrasto alla criminalità organizzata”. “Sono diversi anni che assistiamo a questo fenomeno – ha continuato -. La sentenza della Corte europea sull’ergastolo ostativo e ancora prima le sentenze della Cassazione, hanno rivisto a ribasso le misure di prevenzione patrimoniali permettendo la possibilità di sequestro soltanto nel periodo in cui è stata accertata la pericolosità sociale della persona che viene sottoposta ad un procedimento di prevenzione. Per non parlare del pericolo che si riveda il 41bis. O del pericolo che si metta mano al 416bis”.

Un aspetto non molto dibattuto questo ma sul quale il direttore della Dia ha voluto fare una precisazione a seguito di “una sentenza delle Sezioni Unite che nel febbraio dello scorso anno ha messo un punto che se viene ampliato rischia di distruggere completamente il 416bis, quindi l’associazione di stampo mafioso”. “Questa sentenza ha stabilito che non basta il solo fatto di essere stato ‘punciuto’, quindi di essere stato ritualmente affiliato ad una organizzazione mafiosa, per poter essere ritenuto responsabile di partecipazione all’associazione mafiosa e quindi essere condannato. Richiede un qualcosa in più – ha precisato Vallone –. Deve aver svolto un qualcosa a favore dell’associazione. Questo è un ‘vulnus’ terribile perché se passa questo concetto cade completamente la struttura del 416bis. Non ci sarà nessuna differenza tra il 416 ordinario e il 416bisil primo punisce una persona che si è associata con altre per commettere un delitto o un reato specifico; mentre il secondo punisce il solo fatto di appartenere ad un’associazione mafiosa in quanto tale”.

Il direttore Vallone parla di una “tendenza” che negli ultimi anni “tende a svilire gran parte della normativa speciale antimafia e a riportarla su canoni di ordinarietà anche sulle misure di prevenzione, anche all’interno della stessa magistratura. Qualche magistrato arriva addirittura a parlare di patteggiamento della prevenzione, della serie che concordiamo con il patteggiamento che metà beni si sequestrano e metà no”.

Questo sta avvenendo perché la normativa antimafia è una normativa dura che è stata prevista in situazioni particolarmente gravi, ma c’è sempre chi ritiene che non sia più opportuna perché in contrasto con principi costituzionali essendo misure di emergenza e visto che la mafia oggi non spara più non ci sarebbe necessità di mantenere una legislazione così particolare e così straordinaria – ha sottolineato – Senza rendersi conto che questo è il più grande regalo che si possa fare alle mafie ed è proprio quello che cercano e che vogliono le mafie con la loro teoria dell’inabissamento: non manifestarsi in maniera evidente ed eclatante per non far parlare più di se ed ottenere quelli stessi benefici che Totò Riina tentava di ottenere con le stragi e tentando di avere un rapporto paritario con lo Stato ed imporgli l’abolizione di alcune delle norme che invece sono alla base del nostro contrasto delle criminalità organizzate”.

In tutto questo scenario “le mafie fanno il loro lavoro e cercano di fare quello che devono fare”, mentre il problema sta in quella “parte di ‘intellighenzia’ nazionale che ha questo orientamento e ritiene che una parte della legislazione – soprattutto quella di prevenzione – sia incostituzionale. Il tentativo c’è ed è quello di annacquare queste norme che poco a poco si stanno riducendo”. “Oggi abbiamo meno strumenti di quanti ne avevamo 5 anni fa. Infatti, basta vedere il numero di sequestri che si compiono oggi: estremamente inferiori rispetto a quelli di qualche anno fa. E questo non perché le mafie abbiano meno soldi da sequestrare o perché noi siamo meno bravi, bensì perché i paletti normativi che sono stati messi – anche da sentenze della massima giurisprudenza – sono molti più limitativi nella nostra possibilità di sequestrare”, ha concluso Vallone.